#Quarantip n.7
Pensiamo spesso all’immagine scientifica come ad una “istantanea” che restituisce in modo neutrale la descrizione di un determinato fenomeno.
Nel caso del SARS-CoV-2, una realistica sfera dal corpo grigiastro maculato e le spine rosse, è diventata per tutti noi il volto pubblico del virus. Ma come è nata questa raffigurazione?
L’immagine, che si basa su informazioni scientificamente accurate, è stata prodotta nel CDC (Centers for Disease Control and Prevention), il principale istituto di sanità pubblica degli Stati Uniti, dai graphic designer Alissa Eckert e Dan Higgins. Pensata sia come illustrazione medica sia per fini divulgativi, è stata poi largamente impiegata come strumento comunicativo durante la pandemia.
Per realizzarla, si è partiti da immagini del virus catturate al microscopio elettronico, che sono state poi integrate con grafiche vettoriali estratte dalla RCSB Protein Data Bank, e ulteriormente elaborate con il software di computer grafica Autodesk3dsMax, il quale ha permesso la colorizzazione e l’aggiunta di effetti visivi di forte impatto.
Anche nell’ambito medico, dunque, dietro l’apparente oggettività delle immagini, c’è sempre un processo di mediazione umana e tecnologica.
Il volto iconico del virus, risultante da tale processo, ha poi di fatto plasmato il nostro immaginario, favorendo la produzione di una grande quantità di artefatti culturali (compresi meme, vignette, adesivi) che contribuiscono in questi giorni alla nostra elaborazione dell’esperienza del COVID-19.
Nell’articolo di The New York Times che vi consigliamo oggi vengono descritti il procedimento seguito dagli illustratori, le motivazioni delle loro scelte e il messaggio legato all’illustrazione.
Link: https://www.nytimes.com/…/coronavirus-illustration-cdc…
#QuaranTip n.8
Ogni immagine che visualizziamo dal computer, così come ogni traccia musicale digitale, è un codice, cioè una sequenza di caratteri che viene letta da un particolare interprete.
Nel caso dell’arte digitale, il processo creativo implica quindi l’integrazione di linguaggi tecnici ed espressivi diversi. Anche dal punto di vista dello spettatore, la presenza di molteplici canali comunicativi arricchisce le modalità in cui farne esperienza.
Oggi vi proponiamo di avvicinarvi al “live coding”: una tecnica e una cultura performativa diffusa principalmente in ambito musicale, in cui l’artista-programmatore elabora il codice che genera la sua performance e lo esegue in tempo reale.
Nel contesto italiano abbiamo avuto modo di collaborare con l’associazione Umanesimo Artificiale, che attraverso il creative coding esplora il “ruolo dell’essere umano nell’attuale era digitale”.
Il software che vi proponiamo è uno dei più potenti e al tempo stesso accessibili per avvicinarsi al live coding musicale: FoxDot (https://foxdot.org/). Basato su Python, è multipiattaforma e open source, in accordo con la filosofia dei “live coders”.
Gli argomenti trattati nei video-tutorial sono disponibili anche in versione testuale all’interno del software stesso, con un approccio “learning by doing”.
Aspettiamo le vostre creazioni
PS: Se hai bisogno di aiuto tecnico per installare il software, scrivici!
Link: https://www.youtube.com/…/UCRyrNX07lFcfRSymZEWwl6w/videos
#QuaranTip n.9
In questo lungo periodo di quarantena si sono moltiplicati online centinaia di contenuti culturali: viaggi virtuali all’interno di mostre, visite museali su YouTube con guide d’eccezione, libri e riviste disponibili gratuitamente, iniziative musicali in live streaming.
Ma tale opportunità ha spesso puntato all’aspetto “sensazionale”, facendo uso di una serie di tecnologie in modo acritico e non inserendole in un progetto organico in grado di generare cultura.
Se è vero infatti che il digitale è una risorsa preziosa, la mancanza di una progettazione focalizzata sull’utente rischia di offrire allo spettatore esperienze effimere. Costruire una narrazione significativa richiede competenze trasversali, che includano senso critico, tecnica e sapere umanistico.
Talvolta, si tende a contrapporre l’esperienza virtuale a quella reale, cercando a tutti i costi di vedere il valore aggiunto dell’una rispetto all’altra. L’obiettivo, invece, dovrebbe essere quello di creare un ambiente “misto” dove il reale dialoga con il virtuale, in un rapporto di mutua integrazione.
Da spettatori e spettatrici ai tempi del COVID-19, sentiamo il bisogno di esperienze che alimentino la nostra sete di conoscenza e favoriscano processi di inclusione.
Per questo, vi proponiamo un viaggio straordinario: un’esperienza virtuale dove le più moderne tecnologie si fondono con cura certosina con contenuti testuali, sonori e visivi che vi porteranno alla scoperta dei templi di Bagan, in Myanmar. Una valle in cui oggi si conservano circa 2000 dei 5000 monumenti che un tempo la decoravano, digitalizzati da CyArk in partnership con la Carleton University (Official) utilizzando laser scanner, video a 360° e tecniche di fotogrammetria sia aerea che terrestre.
Il progetto è disponibile sulla piattaforma Google Arts & Culture nella sezione “Open Heritage” e si può fruire in realtà virtuale con audio immersivo, sul proprio pc o da smartphone con app mobile.
Il racconto è scandito dalla possibilità di esplorare i modelli tridimensionali ad un livello di dettaglio sorprendente e non osservabile sul luogo, a causa di un recente terremoto che ha danneggiato i templi. L’atmosfera che si respira nella valle di Bagan è tanto reale che per qualche momento ci si dimentica di essere dietro a uno schermo.
Link: https://artsexperiments.withgoogle.com/bagan